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Territori

22/03/2017

Il tema del costo dell’acqua ha rappresentato, nel corso degli ultimi 10 anni, e rappresenta a tutt’oggi, uno dei più complessi da analizzare ed attuare, in particolar modo per il settore agricolo data la complessità di tale sistema. E’ noto che la direttiva quadro acque 2000/60 (DQA) prevede, all’articolo 9, l’individuazione di politiche dei prezzi dell’acqua incentivanti il risparmio idrico e un adeguato contributo al recupero dei costi dei servizi idrici a carico dei vari settori di impiego dell’acqua, tra cui l’agricoltura. A tal fine, la Commissione europea precisa che il costo dovrebbe essere attribuito secondo il principio “chi inquina (usa) paga”. La norma, infatti, prevede che gli obiettivi di qualità della risorsa idrica individuati vadano conseguiti anche attraverso l’attuazione di una idonea politica dei prezzi dell’acqua che incentivi un uso razionale della stessa e che, tenendo conto del principio chi inquina paga, assicuri il recupero dei costi attraverso la tariffa, compresi, quando necessario, quelli ambientali e della risorsa.

Nonostante le indicazioni della Commissione sul recupero dei costi dell’acqua attraverso la tariffa siano state ribadite anche nella Comunicazione “Piano per la salvaguardia delle risorse idriche europee” (Blueprint)1 del 2012, a livello UE quasi nessuno Stato membro ha previsto il recupero delle voci di costo indicate dalla DQA, in particolare il costo ambientale e il costo della risorsa, con riferimento a tutti gli usi individuati dalla norma. Questa situazione può essere ricollegata alla mancanza di una definizione chiara e comune su cosa dovesse essere imputato alle diverse voci di costo e alla difficoltà di addebitare taluni costi a specifici usi e settori, sia in relazione a potenziali aumenti di costo non sostenibili dagli stessi, sia in riferimento agli specifici contesti normativi e giuridici caratterizzanti i diversi Paesi.

Il caso più eclatante è rappresentato dalla Germania, che ha scelto, a monte, di escludere taluni servizi (l’arginamento ai fini della produzione di energia idraulica, la navigazione e la protezione dalle inondazioni, il prelievo ai fini dell’irrigazione e ai fini industriali, nonché l’uso privato) dall’applicazione della nozione di servizi idrici non prevedendo, per tali servizi compreso quello irriguo, il recupero delle diverse voci di costo attraverso la tariffa finale. Per questo motivo la Commissione europea ha avviato un contenzioso nei confronti della Repubblica Federale Tedesca. Altri Stati membri e, in particolare, il Regno di Danimarca, l’Ungheria, la Repubblica d’Austria, la Repubblica di Finlandia, il Regno di Svezia e il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, hanno appoggiato la posizione della Germania che ha vinto il contenzioso contro la Commissione europea.

In considerazione del fatto che tale politica dei prezzi non ha ricevuto adeguata applicazione a livello UE la Commissione, nel costruire i nuovi regolamenti inerenti la Politica agricola comune, ha indicato queste tematiche come un requisito di condizionalità ex ante per la politica di Coesione e per l’accesso ai fondi strutturali nuovo ciclo di programmazione.

A differenza dei Paesi citati del Nord Europa, l’Italia ha scelto di valutare i diversi servizi idrici, compreso quello per l’agricoltura, e di avviare una riflessione, in coordinamento costante con il Ministero dell’ambiente e le Regioni e P.P.A.A nel rispetto delle specifiche competenze, sulle diverse questioni che afferiscono la condizionalità ex ante per le risorse idriche. Questo sforzo va molto positivamente valutato in ragione del fatto che l’Italia, insieme alla Spagna e al Portogallo, è uno dei pochi Paesi la cui agricoltura è fortemente dipendente dalla pratica irrigua, dipendenza che negli ultimi anni sta diventando sistemica a seguito dei cambiamenti climatici. Inoltre, va considerato che per il settore agricolo i volumi in gioco sono notevoli e, pertanto, una modifica nei costi può comportare ripercussioni importanti sulla competitività del nostro settore primario.

A livello UE, in effetti, quello agricolo risulta tra i maggiori utilizzatori della risorsa idrica; a livello di UE-28, Eurostat stima che nel 2010 sono stati utilizzati per l’irrigazione circa 40 miliardi di metri cubi di acqua per circa 10 milioni di ettari. Il valore più elevato di volume in termini assoluti si riscontra in Spagna (16,7 miliardi di metri cubi), seguita dall’Italia con 11,6 miliardi di metri cubi. Questi valori sono spiegabili proprio in quanto in tali Paesi sono presenti le più vaste aree irrigate a livello UE.

Con riferimento all’Italia, nel 2013, l’indagine sulla struttura e produzioni delle aziende agricole (SPA) dell’ISTAT rilevava che circa il 23% della SAU risultava irrigato, con un aumento rispetto al Censimento del 2010, a fronte di una riduzione della SAU. Tale aumento della superficie irrigata ha riguardato prevalentemente le Regioni del Nord che, negli ultimi anni e per alcune colture, hanno iniziato a fare ricorso all’irrigazione; nel resto d’Italia tale incremento si è presentato ma in maniera più contenuta.

Le condizionalità ex ante per le risorse idriche sono introdotte nell’ambito della programmazione per lo sviluppo rurale 2014-2020 dal Reg. (UE) 1303/2013 che individua una serie di condizionalità ex ante applicate alle priorità dei programmi e finalizzate a garantire un uso efficace ed efficiente del sostegno. La mancata soddisfazione di tali condizioni entro il termine indicato nei programmi stessi, può comportare la sospensione da parte della Commissione europea dei pagamenti intermedi a favore delle priorità pertinenti i programmi. Alcune di queste condizioni sono generali, altre si riferiscono a specifiche tematiche: tra queste ci sono, appunto, quelle inerenti le risorse idriche. Queste ultime si ricollegano alle Focus area 4B e 5A.

Le condizionalità ex-ante connesse alla Focus area 4B (4.1, 4.2 e 4.3) - Migliorare la gestione delle risorse idriche - sono state regolamentate dal Ministero competente (MIPAAF), che ha predisposto specifiche disposizioni nazionali sulle buone condizioni agronomiche e ambientali (BCAA), sui requisiti minimi relativi all’uso di fertilizzanti e dei prodotti fitosanitari e sui requisiti obbligatori stabiliti dalla legislazione nazionale.

Con riferimento alla Focus Area 5A, la condizionalità ex ante di riferimento per le risorse idriche è la 5.2 e si riferisce a: a) l’esistenza di una politica dei prezzi dell’acqua che preveda adeguati incentivi a usare le risorse idriche in modo efficiente; b) un adeguato contributo al recupero dei costi dei servizi idrici a carico dei vari settori di impiego dell'acqua a un tasso individuato nei Piani di gestione dei distretti idrografici.

Rispetto a tali condizioni i Ministeri competenti hanno emanato le disposizioni nazionali di riferimento. Queste si riferiscono al il decreto MIPAAF, che ha definito le “Linee guida statali applicabili al FEASR per la quantificazione dei volumi irrigui, per l’irrigazione collettiva e l’autoconsumo” e il decreto del MATTM, che ha approvato le “Linee guida per la definizione del costo ambientale e del costo della risorsa (ERC, Environmental Resources Costs) per i vari settori d’impiego dell’acqua[1]”, tra cui quello agricolo.

Secondo quanto previsto dai piani di azione dei programmi regionali per lo sviluppo rurale, nel rispetto di quanto riportato dall’Accordo di partenariato, il decreto MiPAAF va recepito in regolamenti regionali e quello del MATTM va adottato dalle Regioni e P.P.A.A.

Il decreto MIPAAF[2] approva le Linee guida per l’inserimento dei misuratori ai fini della quantificazione dei volumi irrigui e, dove non è possibile l’installazione di tali sistemi, prevede una stima secondo una metodologia condivisa a livello nazionale, per poi introdurre, ove fattibile, una tariffa connessa ai volumi misurati o stimati. 

Ad oggi, tale decreto è stato recepito da tutte le Regioni e P.P.A.A, ad eccezione delle Marche che hanno dovuto fronteggiare i problemi connessi al terremoto. Per accompagnare il recepimento regionale delle linee guida del MiPAAF sono stati attivati dei tavoli tecnici, uno per ognuno dei distretti idrografici, cui hanno partecipato le Regioni e P.P.A.A, il CREA, l’ANBI, le associazioni di categoria agricola, le Autorità di gestione dei distretti idrografici e il MATTM.

La base dati di riferimento per il sistema irriguo nazionale è stato individuato nel SIGRIAN, la banca dati del MiPAAF; si tratta di un sistema informativo geografico (GIS) gestito dal CREA-PB e da questo realizzato in collaborazione con le Regioni e P.P.A.A., che contiene dati geografici e alfanumerici relativi a informazioni territoriali sulle caratteristiche dell’irrigazione nelle aree di irrigazione collettiva (Consorzi di Bonifica, di Miglioramento fondiario ecc.), quali: limiti amministrativi e superfici interessate; fonti di approvvigionamento; reti irrigue; reticolo idrografico; caratteristiche climatiche.

I principali elementi rispetto ai quali è stato operato il necessario coordinamento per distretto idrografico hanno riguardato:

·  la fissazione di soglie diverse a quelle indicate nelle LG per la definizione degli obblighi di misurazione dei prelievi e delle restituzioni al reticolo idrografico superficiale e sotterraneo;

·  la definizione di eventuali casi di esclusione dall’obbligo di misurazione dei volumi irrigui prelevati e restituiti (stima con la metodologia condivisa);

·  la definizione di eventuali casi di incompatibilità tecnica, economica, ambientale all’installazione di misuratori, per prelievi e restituzioni (stima con la metodologia condivisa);

· la definizione, ai fini della gestione delle crisi, per le misurazioni in continuo o giornaliere, di prelievi e restituzioni maggiormente incidenti sul bilancio idrico.

Per quanto riguarda l’irrigazione autonoma, il coordinamento ha riguardato prevalentemente l’individuazione di situazioni per le quali era possibile prevedere l’esclusione dall’obbligo di misurazione (es. superfici irrigue minime), per evitare eccessivi aggravi di natura amministrativa ed economica.

Come più volte richiamato, in tutti i casi nei quali la misurazione non risulta obbligatoria, ai fini della quantificazione dei volumi prevista dal decreto, va operata la stima. Per poter implementare in maniera omogenea la banca dati e poter fare valutazioni comparabili, il Tavolo di coordinamento ha prodotto, quindi, un documento che riporta indicazioni e dettagli sulle metodologie di stima che è possibile utilizzare. Nello specifico, per i volumi prelevati è possibile fare ricorso a strumenti o metodi adatti alla tipologia di presa o di impianto; in alternativa gli enti irrigui possono considerare i dati della concessione. Tali soluzioni vanno individuate dagli enti irrigui in coordinamento con la Regione o autorità competente. Il volume prelevato dovrà essere calcolato con riferimento alla portata massima e al periodo di prelievo concessi a scopo irriguo, oppure al volume massimo concesso a scopo irriguo. Se disponibile, si può fare riferimento all’effettivo periodo di utilizzo anziché a quello massimo concesso.

Per quanto riguarda i volumi utilizzati, il documento individua 3 diverse soluzioni d poter adottare per stimare i fabbisogni irrigui:

  1. sistemi di consiglio irriguo calibrati sulla metodologia FAO 56 e che tengano in considerazione l’efficienza dalla testa del distretto irriguo al campo;

  2. altri modelli sviluppati dalle amministrazioni pubbliche per la pianificazione della risorsa idrica a fini irrigui e che prevedano la stima dei fabbisogni irrigui;

  3. modello FAO Cropwat (http://www.fao.org/nr/water/infores_databases_cropwat.html).

Una volta individuata la soluzione più adeguata in relazione alle caratteristiche rappresentative del territorio (relativamente a estensione, sistemi colturali, suolo, metodo irriguo, esercizio irriguo, ecc.) l’ente irriguo dovrà, in coordinamento con la Regione di competenza ed il CREA, operare un test su un’area campione atto a verificare che il metodo scelto sia quello più adeguato. L’area campione scelta dovrà possedere almeno un misuratore alla testa del distretto con dati storici di volume (almeno relativi agli anni 2014/2015); ove possibile, un misuratore al nodo di restituzione al reticolo idrografico e relativi dati 2014/2015; disponibilità di informazioni su superfici e colture irrigue, inizio e fine della stagione irrigua e sistemi di irrigazione utilizzati all’interno del distretto; disponibilità di dati meteorologici locali. In tal modo, sarà possibile confrontare i risultati ottenuti con il metodo di stima scelto con le effettive misurazioni e calcolare il margine di errore per verificare che sia statisticamente accettabile.

Le linee guida prevedono, inoltre, la stima delle restituzioni. Questa contempla sia i volumi restituiti al reticolo superficiale che quelli rilasciati nel sottosuolo (volume residuo) ed è calcolata con riferimento all’intera stagione irrigua, come differenza tra il volume al distretto (misurato o stimato a partire dal volume misurato alla fonte) e i fabbisogni al campo (stimati secondo le metodologie indicate nella nota tecnica relativa alla stima dei fabbisogni irrigui).

I dati misurati e stimati sono sottoposti a validazione tecnica da parte delle Regioni e Province autonome che devono attivarsi per prevedere modalità di pagamento dell’acqua in grado di incentivare gli utilizzatori finali ad usare le risorse idriche in modo efficiente. Questo può concretizzarsi attraverso l’introduzione di tariffe connesse a volumi misurati o stimati e attraverso correttivi in grado di premiare l’uso efficiente e sostenibile dell’acqua (usi ambientali, tariffe binomie) e tenere conto, quindi, anche delle restituzioni al reticolo idrografico superficiale e sotterraneo. In tale contesto, e anche con riferimento al tema del costo ambientale, appare utile puntare alla contabilizzazione separata dei contributi della bonifica e dell’irrigazione come vedremo di seguito.

Per quanto attiene il decreto del MATTM, il regolamento individua la definizione dei costi ambientali e della risorsa (environmental and resources costs ERC) per i vari settori d’impiego dell’acqua, tra cui quello agricolo, nonchè i criteri per la determinazione degli stessi; dà, inoltre, indicazioni su come internalizzare tali costi, una volta valutatane l’esigenza connessa al verificarsi di un danno ambientale o alla presenza di competizione tra i diversi usi dell’acqua. Il regolamento, che deve essere adottato dalle Regioni e Province autonome, dà alcune definizioni importanti.

La prima è quella di utilizzi idrici, che comprendono tutte le attività che impiegano la risorsa e/o impattano sullo stato delle acque e che potrebbero impedire il raggiungimento degli obiettivi ambientali previsti dalla DQA. Questi devono essere individuati secondo l’analisi delle pressioni e degli impatti operata nell’ambito dei Piani di gestione dei distretti idrografici. Comprendono gli usi idrici ed i servizi idrici.

Gli usi idrici sono quelli indicati dal R.D. 11 dicembre 1933, n.1775 (T.U. 1775/1933), soggetti al regime della concessione e gli usi soggetti ad autorizzazione, permessi o altro atto dispositivo o costitutivo di diritti: potabile; produzione forza motrice (idroelettrico); agricolo di irrigazione; industriale; estrazione acque minerali e termali; ogni altro uso che l’autorità competente, in sede di pianificazione di bacino, ha identificato come significativo (ittiogenico, navigazione, balneazione, innevamento artificiale, ecc.).

I servizi idrici includono tutte le attività - pubbliche o private - di prelievo, contenimento, stoccaggio, trattamento e distribuzione di acque sotterranee e/o superficiali, di gestione delle acque meteoriche, di raccolta e trattamento delle acque reflue, nonché le attività finalizzate a preservare la risorsa idrica e tutelare le persone, i beni e le attività umane dai rischi connessi ad eventi estremi (alluvioni, siccità) quali: servizio idrico integrato; servizio idrico di gestione delle reti bianche; servizio idrico industriale; servizio idrico di irrigazione; servizio idrico di regolazione dei laghi; servizio di gestione degli invasi e di altre opere di laminazione, accumulo, adduzione e/o vettoriamento delle acque; servizio idrico di gestione della rete e delle opere di bonifica ai fini di difesa idraulica e di presidio idrogeologico; servizio idrico di gestione dei corsi d’acqua naturali e delle opere idrauliche; servizio idrico multisettoriale.

Da queste prime definizioni emerge l’importante ruolo svolto da sistema dell’irrigazione e della bonifica che si concretizza in numerosi servizi svolti dal settore agricolo a beneficio della collettività e, nel contempo, per la tutela e il presidio del territorio.

Ai sensi del regolamento, gli utilizzatori sono i titolari di una concessione di derivazione d’acqua (T.U. 1775/1933) o di qualsiasi altra autorizzazione, permesso o altro atto dispositivo o costitutivo di diritti sulla base di normative nazionali o regionali, escluse eventuali autorizzazioni o licenze rilasciate dai consorzi di bonifica (sub “servizi idrici”) i soggetti beneficiari ed utenti dei servizi idrici.

Il regolamento passa, poi, a dare la definizione delle diverse voci di costo indicate dalla DQA e per le quali va previsto il recupero attraverso la tariffa finale.

I costi finanziari sono legati alla fornitura ed alla gestione degli usi e dei servizi idrici. Sono i costi imputabili a un’attività o transazione economica (produzione o servizio) che si avvale della risorsa idrica sia come bene di consumo finale sia come bene (fattore) di produzione. Comprendono i costi operativi di gestione e di manutenzione (costi O&M) e i costi di capitale.

I costi ambientali sono legati ai danni che l’utilizzo stesso delle risorse idriche causa all’ambiente, agli ecosistemi o ad altri utilizzatori, nonché costi legati alla alterazione/riduzione delle funzionalità degli ecosistemi acquatici o al degrado della risorsa sia per le eccessive quantità addotte sia per la minore qualità dell’acqua, tali da danneggiare gli usi dei corpi idrici o il benessere derivante dal valore assegnato al non-uso di una certa risorsa. Si considerano costi ambientali, qualsiasi spesa, intervento o obbligo (vincoli e limiti nell’uso) per il ripristino, la riduzione o il contenimento del danno prodotto dagli utilizzi per raggiungere gli obiettivi di qualità delle acque previsti nei Piani di gestione, imputabile direttamente al soggetto che utilizza la risorsa e/o riceve uno specifico servizio idrico.

I costi della risorsa sono quelli connessi alle mancate opportunità imposte ad altri utenti in conseguenza dello sfruttamento intensivo delle risorse, al di là del loro livello di ripristino e ricambio naturale tenendo conto: della disponibilità idrica spazio – temporale, dei fabbisogni attuali e futuri; della riproducibilità della risorsa; della qualità della stessa; dei vincoli di destinazione e degli effetti economico - sociali e ambientali producibili dai diversi usi e non usi.

Le voci di costo descritte per i diversi usi, a detta della DQA e della normativa che la recepisce, devono essere internalizzate attraverso strumenti di varia natura quali: strumenti fiscali (tasse, tributi, ecc.), politiche dei prezzi (canoni, tariffe, ecc.), fissazione di obblighi (vincoli qualitativi e/o quantitativi, ecc.). Ciò implica che tali costi devono, in qualche modo, poter essere imputati a carico dei diversi usi.

Da un punto di vista pratico questo comporta una verifica delle concessioni di derivazione per le quali è necessario prevedere una quota parte a copertura di eventuali costi ambientali connessi con i diversi usi dell’acqua. Inoltre, va verificata la modalità con la quale il canone concessorio include il costo della risorsa, considerato che questo prevede l’obbligo a garantire il minimo deflusso vitale e che a livello nazionale la competizione tra i diversi usi è normata dal decreto 152 del 2006 che, in caso di scarsità, individua come uso prioritario quello civile e, in seconda battuta, quello agricolo (art. 167). Invece, per quanto attiene il costo del capitale fisso, ossia degli investimenti, questo è ed è stato in buona parte sostenuto dalla finanza pubblica, ed è quindi a carico della fiscalità collettiva; il costo operativo è completamente recuperato attraverso la contribuenza irrigua che gli enti irrigui impongono ai consorziati.

Infine, in aggiunta ai costi ambientali sono da valutare ed includere nel calcolo generale i benefici ambientali connessi con l’uso irriguo e i servizi idrici, in modo da tenere conto dei servizi ambientali forniti dal settore agricolo, buona parte dei quali individuati dallo stesso decreto del MATTM.

RAFFAELLA ZUCARO - Primo ricercatore del CREA-PB


[1] DM 24 febbraio 2015 n. 39

[2] DM 31 luglio 2015


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