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Azione cofinanziata dalla Commissione Europea
Il presente progetto è finanziato con il sostegno della Commissione europea. L'autore è il solo responsabile di questa pubblicazione (comunicazione) e la Commissione declina ogni responsabilità sull'uso che potrà essere fatto delle informazioni in essa contenute.

Acqua

27/04/2015

Il dibattito sempre aperto sull’uso dell’acqua in agricoltura è ricco di luoghi comuni, che vanno smitizzati ad iniziare dalla percentuale del fabbisogno idrico dei campi che se a livello mondiale è indicato nel 70% del totale, in Italia, va sottolineato, è di poco oltre il 30% (dati Ministero Politiche Agricole Alimentari Forestali), addirittura inferiore alla media europea. 
“Il problema odierno e soprattutto futuro della fame nel mondo – afferma, ad esempio, Paolo De Castro, europarlamentare, già ministro dell’agricoltura ed oggi anche autore del libro ”Il cibo” - non è legato alla quantità di alimenti disponibili, ma al miglioramento della qualità della vita nei Paesi emergenti, dove si sta passando da una dieta proteica di origine vegetale a quella di origine animale. Se consideriamo che in Europa si consumano mediamente 100 chili di carne all’anno e negli Stati Uniti anche di più, è evidente lo stress, che sta creando all’equilibrio del pianeta, l’affermarsi economico della Cina, i cui abitanti attualmente consumano solo 50 chili di carne all’anno; ma domani? In altri termini: il Pianeta non può reggere l’estendersi generalizzato del modello alimentare occidentale. Ciò deve obbligarci ad una riflessione sulla sostenibilità verso risorse quali suolo ed acqua, individuando pratiche agricole che, producendo di più, incrementino addirittura la fertilità dei terreni. Non è certo un caso – prosegue l’europarlamentare - che si siano rovesciati gli equilibri anche nel campo della ricerca oggi guidata da Brasile, Cina e Russia, mentre Europa e Stati Uniti rappresentano ormai solo il 30% dell’investimento mondiale in ricerca. La questione di fondo è che non stiamo capendo la velocità dei cambiamenti, sviati anche da alcuni luoghi comuni: ad esempio, non è vero che l’obesità è diffusa soprattutto nei Paesi ricchi, così come non è vero che lo spreco alimentare sia colpa soprattutto dei Paesi più avanzati: anche le economie povere buttano via cibo pur in una fase diversa della filiera alimentare, non essendo in grado, ad esempio, di conservare gli alimenti. Il tema di fondo – conclude De Castro – è il disequilibrio tra domanda ed offerta in campo alimentare, causa di grandi fluttuazioni nei prezzi. In questo quadro anche l’Italia deve fare la sua parte, ma il crescente consumo di suolo, nonché le insufficienti risorse destinate alla sua manutenzione  non sono certo una risposta responsabile.”
“L’analisi di De Castro – gli fa eco Francesco Vincenzi, Presidente dell’Associazione Consorzi Gestione Tutela Territorio e Acque Irrigue (ANBI) – ci conforta nella nostra ferma richiesta di una legge contro il consumo di suolo ed a tutela dell’agricoltura, oggi minacciata anche dalla mancata applicazione della Direttiva Quadro sulle Acque e per la quale l’Unione Europea ha avviato una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia.” 
In sintonia con la necessità di un nuovo pragmatismo, un altro invito arriva dall’Università di Padova.
“L’importante concetto di impronta ecologica idrica va aggiornato con nuovi parametri, sui quali stiamo studiando e che non potranno prescindere dal contesto, nel quale l’acqua viene utilizzata.” La notizia arriva da Alessandro Manzardo, ricercatore del Centro Studi Qualità e Ambiente del Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’ateneo patavino.
La vera questione, infatti, non è l’acqua utilizzata per produrre alimenti, perchè resta comunque nel ciclo vitale, pur essendo necessaria la riflessione, sollecitata da De Castro, sugli stili di vita nutrizionali; il problema sono i quasi 10.000 litri d’acqua necessari per un paio di jeans o i quasi 2.500, di cui abbisogna la produzione di una una t-shirt, senza considerare la risorsa idrica necessaria per realizzare telefonini od automobili, perché viene restituita all’ambiente con qualità peggiore di come viene prelevata. 
Non solo: la delocalizzazione fa sì che tali produzioni avvengano spesso in Paesi già a forte deficit idrico, peggiorando così la “sete” di quelle popolazioni e ponendo la questione fondamentale della localizzazione di attività idroesigenti.
Ancora una volta, porre sotto accusa l’agricoltura ed il settore agroalimentare sembra serva a distogliere l’attenzione dai veri interessi, che condizionano presente e futuro del Pianeta.  

 


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