
22/12/2021
L’ECOMUSEO DEL LITORALE ROMANO, INTITOLATO A MARIA PIA MELANDRI
1. La controriforma dell’art. 117. La fine della legislazione concorrente e l’attuale criterio di riparto per “materie” con scomparsa del previsto riparto anche per “funzioni”
2. I tre livelli della legislazione di competenza dello Stato.
3. Territorio: di che cosa stiamo parlando?
4. La necessità della competenza statale.
5. L’implicita devoluzione della materia “agricoltura” alla competenza legislativa delle Regioni?
1. La modifica dell’art. 117 della Costituzione non costituisce una “riforma” dell’assetto legislativo introdotto dall’art. 2 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, che, sulla scia della prima riforma del 1977, aveva ulteriormente potenziato il ruolo legislativo delle Regioni. Costituisce invece l’avvio di una vera e propria controriforma, che, preso atto di quello che oggi tutti pensano ma nessuno ha avuto sinora il coraggio di sostenere apertamente (e cioè che l’esperienza regionale si è rivelata un disastroso fallimento economico, amministrativo ed etico), tende a riaffermare la centralità del potere legislativo dello Stato, a ristabilire le distanze tra Stato e Regioni e a far rientrare nelle mani dello Stato le redini della vita nazionale.
Le linee guida di tale operazione sono:
a) la scomparsa dell’attuale legislazione concorrente, in cui il riparto legislativo deve in sostanza essere contrattato –alla pari– tra Stato e Regioni;
b) la sostanziale riserva alla legislazione esclusiva statale, di materie particolarmente qualificanti, quale quella relative al “governo del territorio”, sinora oggetto di legislazione concorrente; materia che appare così destinata a far confluire nella legislazione esclusiva statale molte sub materie ad essa strettamente collegate;
c) l’attribuzione espressa di potere legislativo alle Regioni soltanto in materie di secondario rilievo e l’attribuzione indiretta di tale potere nelle materie non espressamente rientranti nella competenza esclusiva dello Stato.
Per una migliore comprensione di questi criteri va ricordato che nel testo di riforma dell’art. 117 anteriore a quello approvato in via definitiva era previsto che lo Stato avesse competenza non più per “materie” ma per “materie e funzioni”. Nel testo definitivo l’accenno alle “funzioni” è scomparso, probabilmente perché si è ritenuto che inducesse ad un’interpretazione troppo estensiva delle “materie” di competenza esclusiva statale.
Ma l’espressione “materie e funzioni” non indicava in realtà due categorie distinte: bastava scorrere l’elenco di esse per rendersi conto che era del tutto arbitrario distinguere le une dalle altre. E quindi si trattava di una endiadi, di due sostantivi usati assieme per esprimere lo stesso concetto: e cioè che nella logica di effettività e di pragmaticità che caratterizza l’attuale azione governativa si voleva presumibilmente indicare, per delimitare i confini della legislazione esclusiva dello Stato, non un criterio formale e chirurgicamente netto ma un criterio sostanziale e concretamente operativo, che facesse rientrare nell’area della competenza esclusiva statale tutte le facoltà e tutte aree contigue necessarie per il reale perseguimento delle finalità in nome delle quali la materia veniva attribuita. Si intendeva cioè sostituire ad una concezione sistematica statica di tipo “archivistico”, quale quella che si potrebbe adottare per ordinare i libri in una biblioteca o i quadri in una galleria d’arte, e cioè per ordinare entità immobili nel tempo, una innovativa concezione sistematica dinamica di tipo “politico” (nel senso di rispondenza all’interesse generale), quale quella che razionalmente si dovrebbe adottare per ordinare entità mutevoli nel tempo – e, come ad esempio accade per il territorio, fortemente e spesso drammaticamente mutevoli nel tempo. In sintesi, si intendeva sottolineare che la ripartizione tra Stato e Regioni non era soltanto una spartizione di poteri di tipo “politico” (questa volta nel senso di rispondente all’interesse dei partiti) ma anche -e soprattutto– un accollo dei correlativi doveri nei confronti della comunità nazionale.
Ma se –come sembra– questa era l’idea dell’attuale legislatore la cancellazione del termine “funzioni” è stata una prudenza eccessiva: perché la mutevolezza è una caratteristica oggettiva della materia; e quindi è necessariamente implicita nella “materia” stessa e del tutto indipendente dalla qualificazione giuridica che ad essa si voglia dare, così come la competenza costituzionale dei genitori ad educare i figli si deve progressivamente adeguare alla mutevolezza determinata dallo sviluppo fisico e psichico dei figli stessi.
Ne deriva che la circostanza che il termine “funzioni” sia sparito non significa affatto che per ogni “materia” sia sparito l’esigenza di adeguamento elastico del complesso di poteri e doveri di direzione, tutela e promozione, insiti nel concetto di “funzione”.
Comunque sia, a seguito di questa controriforma le Regioni perdono la parte più qualificante dell’area della ex legislazione concorrente: i rapporti internazionali, il commercio con l’estero, la tutela della salute, l’alimentazione, nonché il reale potere di governo del territorio e della protezione civile. In tali aree le Regioni conservano solo un residuo potere di adottare disposizioni meramente attuative (e cioè formalmente legislative ma sostanzialmente regolamentari) o disposizioni su profili non di carattere generale ma specifici della Regione considerata. Resta fermo, ovviamente, la competenza delle Regioni nelle materie ad esse espressamente attribuite ed in quelle non espressamente attribuite allo Stato.
2. L’attuale testo del nuovo art. 117 prevede vari livelli di legislazione esclusiva dello Stato: disposizioni di principio (lettera p), disposizioni generali e comuni (lettere m), o) ed u)), disposizioni di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario nonché della protezione civile (lettere e) ed u)). La maggior parte della legislazione esclusiva, per la quale non è prevista alcuna precisazione, rientra così nella legislazione piena dello Stato, per la quale quindi non sorgono problemi di riparto.
a) Per disposizioni di principio devono intendersi quelle integrative o specificative dell’assetto costituzionale, quali ad esempio quelle relative alla trasparenza e all’accesso ai documenti amministrativi, che l’ordinamento attualmente dichiara attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, ai sensi della lettera m). Si tratta quindi di disposizioni che attengono essenzialmente ai fini generali dell’ordinamento.
b) Per disposizioni generali e comuni devono intendersi quelle che non solo concorrono a delineare l’assetto strategico dell’ordinamento, precisandone la struttura e le finalità (compito a rigore delle disposizioni generali), ma anche concorrono a realizzare in concreto i fini prestabiliti, in attuazione delle norme generali. Forse sarebbe bastato dire “disposizioni comuni”, perché il più comprende il meno, e non sono espressamente indicati casi di disposizioni soltanto generali e non anche comuni. Infatti il termine “comuni” fa già da solo comprendere che lo Stato non si limita ad indicare i principi generali ma introduce senz’altro la disciplina concreta che deve essere presente in tutti gli ordinamenti regionali, al fine di assicurare la “tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica della Repubblica”. Si è però preferito utilizzare congiuntamente i due termini per sottolineare che le disposizioni “comuni” sono aggiuntive a quelle “generali” e quindi meritano un proprio congruo spazio. Si tratta, quindi, di un passo avanti non irrilevante, che può lasciare alle Regioni soltanto l’eventuale legislazione attuativa e di dettaglio.
c) Alquanto incerta si presenta l’area delle disposizioni di coordinamento, attese le attuali tensioni politiche in materia di federalismo fiscale.
Il rapporto tra Stato-Regioni che deriva dalle suindicate disposizioni potrebbe far credere che, riservando in talune materie allo Stato ampi poteri di legislazione esclusiva a carattere generale ed alle Regioni le relative disposizioni attuative, riproduca -di fatto- quella competenza concorrente che è scomparsa dal nuovo testo dell’art. 117; e da un punto di vista strettamente giuridico formale potrebbe effettivamente ritenersi così. Ma da un punto di vista politico e sostanziale la differenza è notevole, soprattutto se si legge tra le righe.
Dal punto di vista politico Stato e Regioni non sono più poste –di fatto– in posizione di parità, e quindi nella necessità di dover contrattare la linea di confine tra loro; il rapporto di forza è modificato. Ne risulta la percezione di un equilibrio diverso, e quindi di un’immagine diversa dei rispettivi ruoli; il che, in politica, ha il suo peso.
Dal punto di vista sostanziale la legislazione esclusiva attribuita allo Stato è più ampia ed incisiva di quella precedente; ed operando per categorie sistematiche ancora non bene definite, è potenzialmente mobile, e quindi dà luogo ad una situazione in cui l’accorta opera di uno Stato “forte” può unilateralmente allargare l’area della legislazione esclusiva di sua competenza; ciò anche per l’affermazione della competenza statale in materia di ordinamento degli enti locali e di “forme associative dei Comuni” (disposizione che sostituisce l’originaria previsione di un “ordinamento degli enti di area vasta”, rimasto abbastanza misterioso). Infatti, dal momento che gli enti territoriali sono soltanto quelli indicati all’art. 114 Cost., la “forme associative” ipotizzate rilevano sotto un duplice profilo:
- perché si riferiscono non tanto al territorio quanto all’interesse soddisfatto dall’ente associativo in un ambito territoriale delimitato non secondo i consueti criteri geografici politico-amministrativi ma secondo criteri geografici funzionali, quali sono ad esempio quelli dei comprensori di bonifica;
- perché consentono allo Stato di avere una significativa presenza nella cura di interessi intraregionali o interregionali.
3. Fatta questa premessa è forse più agevole ricostruire quale sia destinata a diventare la competenza statale in materia di territorio.
Il nuovo testo dell’art.117 è apparentemente alquanto dispersivo al riguardo. Infatti esso attribuisce allo Stato:
- alla lettera o): “disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per le politiche sociali e per la sicurezza alimentare”;
- alla lettera p): “ordinamento, legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni e Città metropolitane; disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni”;
- alla lettera s): “tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici; ambiente e ecosistema;”
- alla lettera u): “disposizioni generali e comuni sul governo del territorio; sistema nazionale e coordinamento della protezione civile”;
- alla lettera z): “infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e di navigazione d’interesse nazionale e relative norme di sicurezza; porti e aeroporti civili, di interesse nazionale”.
Sono invece rimesse alla competenza legislativa delle Regioni:
- le materie “di pianificazione del territorio regionale e mobilità al suo interno, di dotazione infrastrutturale,…della promozione dei beni ambientali, culturali e paesaggistici,….nonché in ogni materia non espressamente riservata alla competenza esclusiva dello Stato”; ed è sparito qualsiasi accenno al “governo del territorio”, in precedenza oggetto di legislazione concorrente.
In questo quadro complessivo, se si sommano governo del territorio, ambiente ed ecosistema, beni culturali e paesaggistici, sistema nazionale e coordinamento della protezione civile, e tutela della salute e della sicurezza alimentare, e si sottraggono le opere e i programmi di esclusivo interesse regionale, è ben difficile ipotizzare una submateria attinente al governo del territorio che esuli totalmente dalla competenza esclusiva statale; tanto che la più convincente dottrina costituzionale fa rientrare in tale competenza anche l’urbanistica, termine ormai definitivamente scomparso dalla Costituzione.
Ciò dipende anche dalla circostanza che in termini funzionali il territorio non è soltanto un’espressione geografica: è anche –e, anzi, è soprattutto- un organismo vivente, di cui deve quindi essere tutelato uno sviluppo sostenibile non soltanto sotto il profilo urbanistico ma anche sotto i profili ecosistematico, infrastrutturale, culturale, paesaggistico e sanitario: profili tutti destinati a divenire di primaria competenza statale.
Ma tutti questi profili a loro volta presuppongono necessariamente la messa in sicurezza del territorio sotto il profilo idrogeologico e la programmazione strategica dell’utilizzazione idrica a fini irrigui e energetici, che di conseguenza non può non rientrare anch’essa nella competenza statale. E poiché l’acqua in questione è -di regola– in forma di bene mobile in movimento che al suo passaggio può interessare progressivamente varie Regioni, il sistema nazionale di regimazione e di distribuzione delle acque irrigue deve ascriversi a quelle “infrastrutture strategiche” che l’art. 117, u), attribuisce allo Stato, ferma restando l’attribuzione alle Regioni della competenza relativa “alla pianificazione ed alla dotazione infrastrutturale del territorio regionale”, espressione quest’ultima che nel caso in esame va ovviamente intesa nel senso riduttivo “di esclusivo interesse regionale”. Infatti, la logica territoriale rigida dei confini regionali non è applicabile alla logica funzionale della regimazione delle acque, perché su una stessa risorsa idrica possono insistere più regioni (basti pensare al bacino del Po). Di conseguenza, dato che un eventuale scoordinamento tra le Regioni potrebbe compromettere sia la sicurezza del territorio sia la fruibilità ottimale del bene pubblico acqua, occorre una programmazione centralizzata che attui un equo contemperamento dei vari –e spesso differenziati o addirittura confliggenti- interessi regionali in gioco, al fine di non compromettere l’unità giuridica ed economica della Repubblica.
Si tratta di un compito di particolare delicatezza perché il territorio da tempo è divenuto un organismo di particolare fragilità idrogeologica, situazione aggravata dagli attuali mutamenti climatici e dall’insufficienza degli interventi (di competenza pubblica) di costruzione e di straordinaria manutenzione delle opere idriche e di messa in sicurezza del territorio; sicché, nella nota attuale situazione di scarsità delle risorse disponibili, è quanto mai necessaria un’azione centralizzata che consenta di evitare sprechi ed inutili duplicazioni di spesa pubblica.
In sostanza, dato che l’ecosistema ed il sistema agroalimentare di cui tutti siamo fruitori non può sopravvivere senza acqua, ben potrebbe ritenersi che la fruizione dell’acqua rientri anche nella competenza esclusiva statale prevista per quei citati “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, ai sensi del comma 2, m), dell’art. 117.
4. Va certamente tenuto presente che le considerazioni sopra esposte si riferiscono ad un prossimo futuro, in cui le previsioni del nuovo testo dell’art. 117 dovranno trovare concreta attuazione; il che crea un margine di incertezza. Ma bisogna confidare che le Istituzioni sappiano trovare non solo la buona volontà (che non manca) ma anche la forza (sempre dubbia) di rimettere il Paese sulla strada giusta.
Pertanto, salvo sempre possibili incidenti di percorso dell’iter legislativo, in materia di utilizzazione delle risorse irrigue nazionali non dovrebbe essere dubbio che la competenza legislativa debba essere dello Stato e che lo Stato non possa che avvalersi dell’opera –per l’erario, a costo zero– dei Consorzi di bonifica, gli unici soggetti istituzionalmente presenti nel territorio per tutelarne l’assetto idrogeologico e gli unici in possesso della progettualità, dell’esperienza necessarie e della capacità di pronto e capillare intervento sulla massima parte del territorio nazionale, considerato che attualmente l’irrigazione consortile costituisce i due terzi della irrigazione in Italia e che i Consorzi nel 2014 hanno anche progettato interventi di gestione e manutenzione ordinaria del territorio per oltre 500 milioni di euro, anche in virtù del protocollo di intesa Stato-Regioni del 18 settembre 2008, che ha riconosciuto che “la bonifica ha assunto polivalenza funzionale, svolgendo sul territorio diverse attività, tra cui: difesa del suolo, provvista e gestione delle acque a prevalente uso irriguo, salvaguardia e valorizzazione dell’ambiente”.
5. Nel riparto di competenze legislative previste dalla riforma manca qualunque accenno alla “agricoltura”. Dal momento che è generale convinzione che essa non rientri nella pur vasta a dilatabile area del “governo del territorio” non può che concludersi che essa continui a rientrare nella competenza esclusiva delle Regioni, ai sensi del comma 4 dell’art. 117.
Dal punto di vista dello Stato la questione costituisce un falso problema, dato che si tratta di materia e funzione ormai di dominio indiscusso dell’UE, sede reale in cui la Stato provvede a tutelare gli interessi nazionali, anche se talvolta con scarsa fortuna. Tale situazione potrebbe però far dubitare che sia ancora costituzionalmente legittima e amministrativamente opportuna l’esistenza di un apposito Ministero dedicato alla materia in questione; dubbio certamente infondato, atteso l’attuale specifica destinazione di tale Ministero alle “politiche” (necessariamente superregionali) agricole e forestali. A fugare possibili incertezze in proposito potrebbe essere quindi opportuno introdurre nell’ordinamento un espresso potere dello Stato di dettare norme di coordinamento e comuni anche in materia agricola, al fine di assicurare la “tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica ovvero la tutela dell’interesse nazionale”, ai sensi del comma 5 dell’art. 117; tutela tanto più necessaria in quanto – com’è noto – la produzione agroalimentare costituisce attualmente un o dei settori più interessanti per l’auspicata ripresa economica ed una delle voci più importanti dell’export nazionale.
Salvatore Giacchetti, già Presidente di Sezione del Consiglio di Stato
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